Indennità per ferie non godute: quali criteri deve seguire la sua liquidazione?

Tribunale di Firenze – Sezione Lavoro – Sentenza n. 221 del 09.03.2023

Fissato un concetto di retribuzione nel periodo feriale di natura “teleologica” e considerata quindi l’esigenza che le condizioni economiche in godimento durante il periodo feriale debbano essere “paragonabili” a quelle del periodo di lavoro affinché il lavoratore non venga “dissuaso” dall’esercitare il proprio diritto alle ferie annuali, in caso di retribuzione composta anche da componenti variabili, queste ultime devono entrare a far parte della base di calcolo dell’indennità per ferie non godute quando per esse sussista un rapporto di funzionalità (“nesso intrinseco”) con le mansioni e ne sia compensato un “incomodo” oppure siano correlate allo status personale o professionale del lavoratore.

I Giudici fiorentini hanno opportunamente anzitutto sottolineato come sia condivisa l’affermazione secondo cui il diritto alle ferie annuali retribuite sia posto a presidio della tutela della salute e della sicurezza del lavoratore e miri ad assicurare l’effettiva fruizione del periodo di riposo necessario al recupero delle sue energie psico-fisiche, con la ovvia conseguenza che sia principio interpretativo consolidato quello per il quale l’indennità sostitutiva di mancata fruizione delle ferie debba essere liquidata mantenendo sempre la retribuzione ordinaria e, dunque, assicurando al lavoratore una situazione che, a livello retributivo, sia sostanzialmente equiparabile a quella percepita nei periodi di lavoro in ragione del fatto che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuaderlo dall’esercitare il diritto alle ferie in palese contrasto con le prescrizioni di legge.

La statuizione fatta propria dal Tribunale toscano è quindi chiara nel precisare come nella base retributiva di cui tenere conto a tal fine vadano ricomprese anche quelle componenti variabili eventualmente spettanti al lavoratore, ma ciò solo qualora per esse sussista un rapporto di funzionalità o “nesso intrinseco” con le mansioni e ne sia compensato un “incomodo” oppure siano correlate al suo status personale o professionale, quasi pertanto a costituirne una voce sostanzialmente continuativa della retribuzione, e tanto deve avvenire, si badi bene, anche quando la contrattazione collettiva assuma il contrario.

Il Tribunale, infatti, sancisce il principio secondo il quale spetti sempre al giudice di merito il compito di valutare, in primo luogo, il rapporto di funzionalità che intercorra tra i vari elementi che compongono la retribuzione complessiva del lavoratore e le mansioni ad esso affidate in ossequio al suo contratto di lavoro e, dall’altro, interpretate ed applicate le norme pertinenti del diritto interno conformemente al diritto dell’Unione, verificare se la retribuzione allo stesso corrisposta, durante il periodo minimo di ferie annuali, sia corrispondente a quella fissata, con carattere imperativo ed incondizionato, proprio dalle norme comunitarie.

Si tratta, invero, di una rigorosa applicazione del principio fondamentale della gerarchia delle fonti normative con la dichiarata supremazia di quelle comunitarie e nazionali di primo grado rispetto alla contrattazione di categoria, con l’intento evidente di assicurare la migliore tutela del lavoratore a godere imprescindibilmente delle proprie ferie anche sotto un profilo squisitamente economico se non usufruibili materialmente. Dall’altro lato, tuttavia, la disamina offerta dall’organo giudicante finisce così nel vanificare la funzione della contrattazione collettiva stessa e, soprattutto, la certezza che in essa ripone il datore di lavoro.