Rapporto di lavoro: come si modulano i diversi termini di prescrizione per i diritti del lavoratore?

Tribunale di Palermo – Sezione Lavoro – Sentenza n. 116 del 19.01.2023

Nel rapporto di lavoro subordinato le pretese creditorie sono assoggettate al termine di prescrizione breve previsto dall’ art. 2948 c.c. e si sottraggono a tale regola generale solo quei diritti non qualificabili, di norma, come diritti di credito in senso stretto, quale quello al riconoscimento della qualifica superiore acquisita per l’espletamento di mansioni superiori, che si prescrive nell’ordinario termine decennale di cui all’art. 2946 c.c., mentre le azioni dirette ad ottenere le differenze retributive derivanti dal riconoscimento della qualifica superiore soggiacciono anch’esse al termine quinquennale breve. 

Con questa significativa sentenza, il Tribunale di Palermo affronta uno dei temi più complessi ed articolati della problematica afferente il decorso dei termini prescrizionali e lo tratta distinguendone gli effetti a seconda che il rapporto di lavoro sia o meno assistito dalla garanzia della stabilità, ovvero sia assoggettato alla disciplina prevista dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, ed aggiornandolo anche in conseguenza delle modifiche introdotte dalla Legge n. 92 del 2012 meglio nota come “Legge Fornero”.

Osserva, infatti, il Tribunale come detta normativa abbia significativamente inciso sui diritti dei lavoratori impiegati presso datori di lavoro privati per i quali il timore della perdita del posto di lavoro in tempi di crisi economica, che comporta sempre più spesso l’intimazione del licenziamento per motivo oggettivo, tutelato solo in via indennitaria ad eccezione delle ipotesi di manifesta infondatezza dei motivi, appare quanto mai reale ed idoneo ad impedire agli stessi di proporre rivendicazioni retributive nei confronti del datore di lavoro proprio per evitare possibili provvedimento espulsivi.

Secondo i giudici siciliani, dunque, appare evidente come il quadro normativo attuale confermi nella sostanza l’adeguatezza dell’indennità risarcitoria quale legittimo ed efficace rimedio a protezione del lavoratore nelle ipotesi di illegittimità del licenziamento previste dal legislatore, ponendola accanto alla reintegrazione come forma di tutela alternativa e diversa, con inevitabili conseguenze anche in ordine alla diversa decorrenza dei termini di prescrizione.

La conclusione, infatti, cui essi giudici pervengono, è che la prescrizione decorra, in costanza di rapporto di lavoro, esclusivamente quando la reintegrazione non soltanto sia, ma appaia anche, quale sanzione contro ogni illegittima risoluzione dello stesso rapporto come accade per i lavoratori pubblici e come era nel vigore del testo dell’art. 18 anteriore alla Legge n. 92/2012 per quei lavoratori cui la norma si applicava, mentre per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della stessa legge il termine di prescrizione non può che decorrere, a norma del combinato disposto degli artt. 2948 n. 4 e 2935 c.c., unicamente dalla cessazione del rapporto di lavoro.

La complessità e la frammentarietà della materia, abbinate alle oscillazioni, anche recenti, della giurisprudenza in tema di decorrenza dei termini, suggeriscono in ogni caso la massima prudenza in tale ambito.