Preventiva escussione del patrimonio sociale: quando è necessaria l’azione esecutiva nei confronti della società?

Tribunale di Matera – Ordinanza n. 5837 dell’11.12.2023

In caso di credito vantato nei confronti di società di persone, la piena tutela del diritto del socio derivante dal noto obbligo di preventiva escussione del patrimonio sociale impone che il creditore sociale, per aggredirne il patrimonio, debba appunto aver prima avviato l’esecuzione forzata sui beni sociali anche se siano insufficienti a soddisfare le sue ragioni, perché solo a seguito della vendita forzata degli stessi potrà essere determinato con certezza il credito residuo del quale il socio debba rispondere in via sussidiaria.

Con questa recente sentenza il Tribunale di Matera si occupa di una delle questioni più rilevanti del nostro sistema giuridico in tema di espropriazione forzata e, in particolare, nel sostanziare la fondatezza del principio di diritto della preventiva escussione del patrimonio sociale a tutela del socio responsabile in via sussidiaria impone al creditore l’effettiva esecuzione laddove, comunque, vi siano beni sociali suscettibili di ricavo economico.

I Giudici materani, dunque, pur ribadendo la prescrizione normativa contenuta nell’art. 2304 c.c. secondo la quale, appunto, il creditore possa agire esecutivamente nei confronti del socio solo dopo l’escussione del patrimonio sociale, rammentano comunque al riguardo come la soluzione prospettata dalla giurisprudenza di attenuare l’estremo rigore di tale norma con il venire meno della necessità della preventiva escussione del patrimonio della società quando risulti aliunde dimostrata, in modo certo, la sua insufficienza per la realizzazione anche parziale del credito, sia certamente condivisibile al fine di evitare che l’attesa della chiusura della procedura esecutiva avviata nei confronti della società debitrice possa pregiudicare il diritto del creditore sociale alla garanzia solidale e sussidiaria del socio che, nelle more, potrebbe sottrarre i suoi beni a tale garanzia.

Secondo il Tribunale, tuttavia, in questi casi la pretesa del creditore verso il socio illimitatamente responsabile risulta delimitata dalla consistenza del patrimonio sociale che il primo può aggredire, dal che deriva l’interesse del secondo a conoscerne il presumibile valore di realizzo, dato che quest’ultimo incide sulla garanzia patrimoniale che lo stesso sia tenuto a prestare per le obbligazioni sociali.

I Giudici lucani, pertanto, evidenziano come l’adeguata tutela del diritto riconosciuto al socio dal citato art. 2304 c.c. richieda l’indicazione, nell’atto di precetto rivoltogli dal creditore sociale, sia del presumibile valore di realizzo del patrimonio sociale da escutere che della somma richiestagli, in quanto il precetto consiste nell’intimazione di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo ex art. 480 c.p.c. e, in queste fattispecie, poiché la responsabilità del socio è sussidiaria rispetto a quella della società, il titolo azionato dal creditore nei confronti del primo è quello emesso nei confronti della società debitrice il quale, però, non dev’essere individuato nell’intero credito verso detta società, ma nella differenza tra questo ed il presumibile valore di realizzo dalla vendita (forzata) del patrimonio sociale.

Secondo i Giudici, quindi, la mancata specificazione di tali elementi renderebbe indeterminato l’oggetto del precetto e pregiudicherebbe in maniera grave il diritto di difesa del socio illimitatamente responsabile, per cui in tali casi il Giudice adito per l’opposizione avverso il precetto notificato al socio, deve dichiararne l’inammissibilità in quanto carente di uno degli elementi fondamentali senza possibilità alcuna di applicazione analogica ex art. 164 c.p.c. non trattandosi di domanda introduttiva di un giudizio di merito.

Il Tribunale, infatti, evidenzia come la piena tutela del diritto del socio sia realizzabile solo in quanto il creditore sociale, per aggredirne il patrimonio, abbia preventivamente avviato l’esecuzione forzata sui beni comunque sussistenti in capo alla società anche qualora essi siano potenzialmente insufficienti a soddisfare le sue ragioni, poiché solo a seguito della vendita forzata di tali beni sociali potrà essere determinato con certezza il credito residuo del quale il socio sia chiamato a rispondere in via sussidiaria.

Una diversa interpretazione, invero, oltre a contrastare col dato letterale della norma che, come detto, concede al creditore sociale di agire verso il socio solamente “dopo l’escussione del patrimonio sociale”, comprimerebbe in maniera eccessiva il diritto del socio, che potrebbe vedersi escusso il patrimonio personale in misura maggiore di quella necessaria a soddisfare il credito sociale residuato dopo l’escussione del patrimonio della società.