La Corte Suprema ha statuito che in tema di sicurezza dell’ambiente di lavoro il mero fatto di lesioni riportate dal dipendente in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa non determina di per sé l’addebito delle conseguenze dannose al datore di lavoro, occorrendo la prova, tra l’altro, della nocività dell’ambiente di lavoro.
I Giudici di legittimità hanno sottolineato come la responsabilità del datore di lavoro per un infortunio verificatosi nello svolgimento di attività lavorativa debba essere sempre collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge, ma anche suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue, pertanto, che in questi casi incomba al lavoratore che denunci un danno alla salute in conseguenza dell’attività lavorativa svolta l’onere di provare non solo l’esistenza di tale danno, ma anche la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, ferma restando poi, all’esito soltanto di questa attività probatoria preliminare ed indispensabile, la possibilità per il datore di lavoro di dimostrare da parte sua l’adozione di tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e la non derivazione dello stato di malattia del dipendente dalla inosservanza di tali obblighi.