Cassazione Civile – Sez. III Sentenza n. 8459 del 05.05.2020 – Privacy – Trattamento dei dati personali in sede giudiziaria – Violazione della disciplina dettata a tutela della riservatezza – Esclusione

La Corte di Cassazione ha stabilito che in tema di protezione dei dati personali non costituisce violazione della relativa disciplina il loro utilizzo mediante lo svolgimento di attività processuale giacché detta disciplina non trova applicazione in via generale, ai sensi degli artt. 7, 24 e 46-47 del d.lgs. n. 193 del 2003 ( cd. codice della privacy ), quando i dati stessi vengano raccolti e gestiti nell’ambito di un processo.Si tratta di una importante precisazione di un fondamentale principio che, per quanto possa sembrare scontato, in realtà è per alcuni versi ancora motivo di discussione e che riconosce la titolarità del trattamento dei dati personali connessi all’espletamento della funzione giurisdizionale in capo alla competente autorità giudiziaria dovendo essa soltanto, in tale sede, comporre le diverse esigenze di tutela della riservatezza e di corretta esecuzione del processo medesimo. In particolare, i Giudici di legittimità hanno evidenziato come la conservazione del dato personale, se funzionale all’accesso alla giustizia, rientri nelle operazioni di trattamento ex art. 22, comma 5, del d.lgs. n. 193/2003 e come lo stesso costituisca specifico obbligo dell’ente pubblico titolare dello stesso trattamento, senza che rilevi, a suo carico, un automatico dovere di distruzione del dato in esame in base al disposto dell’art. 16 del menzionato d.lgs. che, al contrario, ben può essere ceduto all’ausiliario nominato dal giudice, nel caso di specie, relativo ad una domanda di accertamento dello “status” di figlio naturale, il consulente tecnico d’ufficio che aveva acquisito dei vetrini con i campioni biologici in adempimento dell’incarico affidatogli dal giudice di merito.