Straining: quando rileva la condotta del lavoratore per escluderne la sussistenza?
- studiolegalesodo
- 1 lug
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Tribunale di Milano - Sezione Lavoro - sentenza n. 806 dell’01.04.2025

Il lavoratore che con le proprie condotte contribuisce a determinare una situazione di conflitto duratura nel tempo non può trovare ristoro ai sensi dell'art. 2087 c.c., in quanto a causa dei suoi comportamenti non è possibile configurare una condotta stressogena del datore di lavoro nei confronti del dipendente.
Il Tribunale di Milano delinea efficacemente i contorni di questa particolare fattispecie di mobbing che, appunto, si caratterizza per essere una forma di comportamento ostile sul posto di lavoro, simile al mobbing ma meno intensa, sebbene comunque causa di stress forzato e tale da poter determinare anch’essa dei danni psicologici e fisici nel lavoratore e, soprattutto, ne individua una possibile causa di insussistenza giuridica proprio nel comportamento colpevole del lavoratore.
I Giudici milanesi, quindi, nel rammentare come lo straining si differenzi dal mobbing per la minore frequenza e intensità delle azioni vessatorie, sottolineano come lo stesso possa comunque comportare responsabilità legali per il datore di lavoro ed evidenziano altresì come lo stesso debba ritenersi integrato anche in assenza di intento persecutorio, spettando tuttavia al dipendente l’onere di dimostrare la sussistenza del danno, la nocività dell'ambiente lavorativo e il nesso causale tra queste due componenti.
Gli stessi Giudici, però, in una sostanziale applicazione del principio fondamentale di diritto della riduzione del danno in presenza di una corresponsabilità del soggetto danneggiato, sottolineano come anche in questa ipotesi la situazione conflittuale venutasi a creare fra le parti, se accentuata o addirittura determinata dal lavoratore, determini l’esclusione della configurazione della fattispecie di straining come denunciata e la conseguente mancata responsabilità del datore di lavoro.